Com’è cambiata l’Informazione nell’Era Digitale

Oggi l’informazione passa sempre più attraverso internet.
Blog, giornali online e social network rappresentano i mezzi digitali con cui le persone si informano quotidianamente sugli argomenti più disparati.

Ma com’è cambiato il modo di fare informazione nell’era digitale rispetto al passato?

Ne ho voluto parlare con Cristina Maccarrone, giornalista, e Riccardo Esposito, blogger, autori di Scrivere per Informare: un bellissimo manuale double face che cerca di spiegare a un blogger cosa può imparare da un giornalista, e a un giornalista cosa può imparare da un blogger.

Ho voluto coinvolgere in questa intervista anche il loro editore, Enrico Flacowski, che da anni si occupa di comunicazione online.

Ricalcando un po’ lo stile del libro, ho fatto le domande a ognuno di loro.

 

1. Internet ha cambiato in modo radicale l’accesso all’informazione. Oggi che importanza hanno per i lettori giornali online e blog rispetto alla stampa tradizionale?

 

Enrico Flacowski

<< Notizie e informazioni online sono liquide, sulla stampa sono solide.

Internet è un abbeveratoio da cui tutti, quotidianamente, ci dissetiamo, in qualunque momento, molto spesso per rispondere a domande istantanee.

La stampa è approfondimento, avviene in segmenti di tempo più lunghi, è tutt’altro che una lettura istantanea, è più temporanea.

Leggere sulla carta permette maggiore concentrazione, lineare, con meno distrazioni, mentre online si tratta di lettura multitasking, non lineare, saltiamo da un contenuto all’altro nell’arco di pochi secondi in svariati momenti della giornata.

La differenza è immensa. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Tanta, forse più di quanto si creda. Anche se la stampa tradizionale detiene ancora un “potere” che deriva dal passato.

Ancora oggi le aziende si sentono particolarmente fiere del proprio ufficio stampa e di se stesse quando escono sul cartaceo anziché su Internet. E questo retaggio si vede anche nella retribuzione dei giornalisti cartacei ancora molto più alta, per i collaboratori ma non solo, rispetto a chi scrive sul web.

Tornando ai lettori, credo che sentirsi informati sia una necessità cui riescono a rispondere, più nell’immediatezza, Internet con i giornali online, i blog, ma anche i social media, non dobbiamo dimenticarlo. Non sono delle testate, ma degli amplificatori, eppure senza di essi molte persone non scoprirebbero delle notizie o non saprebbero cosa succede nel mondo.

Tra le varie cose, faccio anche formazione su scrittura in ottica SEO, social media copywriting e quando chiedo ai miei “allievi” come si informano in tanti mi rispondono: “Su Facebook”. E questo è grave e positivo allo stesso tempo. Grave perché la stampa deve conquistarsi un suo spazio e gestire bene i social se vuole esserci, indipendentemente da quello che fa. Positivo perché tante volte un social ha dato quell’informazione iniziale che serviva: vedi i casi di terremoto, i numeri per aiutare ecc…

Poi ci sono ancora giornali che contano per i lettori per il loro brand. Però se come dico nel libro, le persone tendono a non ricordare dove hanno letto una notizia perché la maggior parte di queste è “unbranded”, è anche vero che se si lavora bene, al giornale online – così come accadeva e accade in parte adesso – ci si “affeziona”. Un caso di questo genere è Il Post, per esempio: è nato solo online ed è molto seguito. Anche perché ha trovato la sua strada: quella dello spiegare le cose semplicemente senza ricorrere la notizia. >>

 

Riccardo Esposito

<< Di sicuro hanno una grande importanza di fronte a quel concetto espresso da Roger Ailes (Fox News): le persone non vogliono essere informate, vogliono sentirsi informate.

Questo significa che attraverso i nuovi media digitali ogni individuo può catturare un frammento di informazione e costruire la propria dieta mediatica.

I giornali online i blog diventano ingranaggio fondamentale di questo percorso e noi – addetti ai lavori – dobbiamo fare una scelta per rendere il web un luogo migliore. Grazie, ovviamente, a una comunicazione precisa ed efficace. >>

 

2. Nella stampa tradizionale la validazione dell’informazione da parte del pubblico avviene in base alla tiratura e alle copie vendute del giornale. Nel giornalismo online e nel blogging questa validazione avviene solo in base alle visite sul sito e ai like, condivisioni e commenti sui social network?

 

Enrico Flacowski

<< Visto che si parla di media, se mi passi il gioco di parole, in media stat virtus, parafrasando i latini. Numeri troppo bassi significa non esserci, troppo alti significa lettura massiva e poca concentrazione, molto bounce. Meglio volare a metà altitudine.

Condivisioni e commenti sui social, come spiegano Riccardo e Cristina nel libro, sicuramente accrescono l’autorevolezza (giornalismo o blogging che sia) ma non sono soppesabili come letture, anzi. L’online ha una metrica speciale che manca all’offline: il tempo di lettura.

Sulla base di questo il blogger/giornalista saprà quanto è stato in grado di soddisfare il lettore e, magari, di stabilire quali contenuti sono più efficaci e modificare il proprio calendario editoriale in questa direzione. >>

 

Cristina Maccarrone

<< No, per me no. Conta tanto sapere intercettare la propria nicchia, il proprio pubblico di interesse e rispondere al suo bisogno informativo. Il traffico, le visite, ecc… per me sono solo un mezzo.

Mi spiego: io posso essere anche letto da 200 persone, ma se per me sono quelle giuste, quelle cui volevo rivolgermi allora ho comunque raggiunto il mio obiettivo. Inoltre, sul web – e secondo me se ne parla poco – ci sono tante testate che sono specializzate su alcuni temi o che inseguono un certo tipo di pubblico e non sono da meno di un Aranzulla che fa un botto di traffico: penso a Rivista Studio che è di nicchia, ma è di livello, o un Valigia Blu che non farà i numeroni, ma come dico nel libro è sostenuto da un crowdfunding ogni anno.

Quindi per risponderti: la “validazione” passa anche attraverso visite, like e commenti, ma sono solo una base o una parte del tutto. >>

 

Riccardo Esposito

<< Non direi, almeno io non voglio basarmi su questi punti. Perché sono facilmente manipolabili e orientabili da chi lavora sulla strategia. Che è un po’ come la magia, può essere bianca o nera. La prima viene usata a fin di bene e sfrutta dinamiche cristalline, la seconda è malvagia.

Usciamo dalla metafora. Se dai uno sguardo al libro, nella sezione dedicata all’autore ci sono esempi del Sole 24 Ore che riesce ad avere più visibilità grazie all’ottimizzazione delle schede dedicate ai giornalisti.

Questa è una strategia virtuosa ma ce ne sono altre (tipo click baiting sui titoli) che riguardano deformazioni della comunicazioni: aumento le visite e i like, ok… Ma a che prezzo? Io punterei, in definitiva, sull’autorevolezza delle firme e dell’informazione. >>

 

3. Giornali e blog nascono prima dei social network. Quanto queste piattaforme hanno influito sul modo di fare giornalismo e blogging?

 

Enrico Flacowski

<< Testate giornalistiche e blog hanno dovuto necessariamente curare con molta più attenzione visual (foto e video) e titoli. E soprattutto negli ultimi anni su Facebook hanno dovuto ambire più all’engagement che ai click, perché senza interazioni crolla la visibilità del post e senza visibilità del post diminuiscono i click.

Ecco perché lasciano che gli utenti facciano baruffa sui commenti, senza moderare, cosa sbagliatissima. I social sono un luogo digitale da cui la gente fruisce informazione passivamente, ecco perché visual e titolo sono fondamentali: durante lo scrolling ci vuole qualcosa di forte che spinga il pollice a fermarsi lì.

Ad avere intuito più di tutti la dinamica dell’informazione passiva è Bytedance, proprietaria di TikTok. La sua app Toutiao applica all’informazione algoritmi simili a quelli di TikTok: offre le informazioni nella pagina “Per te” in una rapsodia cucita da un’intelligenza artificiale in base a ciò che il lettore legge maggiormente, ma inserendo a random contenuti “diversi dal solito” per aggiornare costantemente le preferenze di lettura. Incredibile no? Un po’ come l’app Feedly di cui parla Riccardo nel libro, ma illimitata e con una intelligenza artificiale sopraffina. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Hanno influito tanto perché i giornali tradizionali non le hanno sapute “governare”. Però io non la vedo negativamente: molto del mio lavoro è migliorato grazie a Twitter e Facebook. Sono riuscita a costruire il mio personal branding, a far conoscere le cose di cui scrivo, a farle arrivare alla gente.

Con la carta non mi succedeva. Inoltre, sempre come dico nel libro, “il giornalismo è conversazione” e i social permettono di farlo quindi hanno influito positivamente. E se non ci si fa governare, ma li si governa, non può che essere così.

Ci vogliono, però, studio, attenzione, formazione e attitudine. E nei giornali spesso questo non c’è perché non ci sono figure ad hoc come il social media editor che non è colui che scrive, inoltre i giornalisti spesso sono “fighetti” e si limitano a fare condivisione del pezzo senza raccontare cosa c’è dietro o stimolare la conversazione.

Lato blogger – e qui secondo me c’è una grande differenza – in tanti hanno invece esagerato puntando a essere star su Instagram e dimenticando che il blog, a mio avviso, è altro. E Riccardo lo insegna. >>

 

Riccardo Esposito

<< Molto. Forse troppo. Oggi i social tendono a fagocitare l’attenzione e il rischio è chiaro: scrivere per avere l’attenzione delle persone sui social e non per informare. Capita con i già citati titoli click baiting. Vale a dire headline che cercano di catturare l’attenzione e poi le visite delle persone senza valutare il principio cardine della buona comunicazione. Vale a dire informare nel modo più chiaro e semplice possibile. >>

 

4. Per i lettori la maggior parte delle informazioni online sono unbranded, cioè pochi ricordano il nome del sito su cui le leggono, sia questo un giornale online oppure un blog. Alla luce di questo fenomeno, quanto è importante per blog e giornali online fare branding? E per giornalisti e blogger puntare sul proprio personal brand?

 

Enrico Flacowski

<< Ecco, ricollegandomi a quanto detto prima, su Toutiao, gli autori di articoli devono puntare moltissimo sul proprio personal branding perché le testate sono state completamente assorbite da dalla bolla del web, da motori di ricerca e social.

Essere personalità riconoscibili da una parte e autori soddisfacenti dall’altra è fondamentale.

Mi spiace però vedere che spesso chi fa tanto personal branding fatto bene, spesso non è un grande autore. La solita storia di chi ha il pane ma non ha i denti. Ma la gente non se ne accorge, perché il personal branding è tanto potente da far risultare qualunque banalità scritta dal guru una genialità. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Per me è fondamentale: il 50% del lavoro di giornalisti e blogger inizia dopo che l’articolo è stato pubblicato, ma anche prima per capire cosa vogliono sapere i lettori.

Farsi conoscere per quello che si scrive, per i temi che si segue è basilare.

Dopo aver faticato per trovare la notizia, le fonti, avere redatto un pezzo che sia il migliore possibile, inizia quel lavoro di conversazione con le persone che serve al giornalista, ma anche al giornale.

Certo, come dicevo prima, bisogna saperlo fare: no all’eccessiva autoreferenzialità, sì al dibattito e alla costruzione di discussioni. >>

 

Riccardo Esposito

<< Molto importante, soprattutto se lavori in un settore molto competitivo.

Prendi l’esempio che ho sviluppato con il mio blog My Social Web. Il mio obiettivo è fare in modo che questo nome si colleghi automaticamente all’argomento blogging. Ci sono tanti competitor in questo settore, alcuni sono dei colleghi altri dei concorrenti, ma io devo emergere in questo settore.

E lo stesso vale per un giornale: cerchi un’informazione di sinistra ma non troppo? Leggi La Repubblica. Vuoi una visione di destra e sciovinista della realtà? Punta sul Giornale. Il tuo brand deve posizionarsi, sempre. Altrimenti verrai dimenticato. >>

 

5. Aumentare la reputazione di un giornale online oppure di un blog facendo branding quanto potrebbe influire sulla validazione dell’informazione da parte dei lettori?

 

Enrico Flacowski

<< Fare branding oggi penso sia fondamentale per chiunque, dal tassista al presidente della squadra di calcio, dal panificio alla multinazionale di food.

Anche se gli integralisti dell’argomento non digeriscono molto quanto sto per dire, ma sarebbe più corretto parlare di brand positioning, ovvero di posizionarsi nella mente del lettore come il blog/quotidiano che si occupa della tematica X in modo Y.

Proprio perché l’informazione è liquida e viene spesso recepita passivamente, quasi per caso, essere riconoscibili è cruciale. Oltretutto il legame autore-lettore che blog e social permettono è incredibilmente potente. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Tanto. Specie se giornale e blog sono agli inizi. Vuol dire crearsi il proprio spazio, vuol dire far capire a più persone possibili, o quantomeno a quelle che sono le nostre “reader personas” come lavoriamo e come “produciamo” informazione. >>

 

Riccardo Esposito

<< Se fatto bene hai solo da guadagnarci. Fai blogging solo per portare link, visite e traffico al tuo nome? Sbagliato, non funziona così. Bisogna fare storytelling del tuo brand, si lavora su un filo conduttore che si stende nel corso di anni. Non mesi o peggio ancora settimane. Se pensi di ottenere tutto e subito con il blog sei sulla cattiva strada. >>

 

6. Secondo Wikipedia, fake news “indica articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici con il deliberato intento di disinformare o creare scandalo attraverso i mezzi di informazione.” Essendo fatte di informazioni, le fake news possono riguardare sia blog che giornali online. Ma cosa rende così popolari le fake news e come mai ci credono in tanti?

 

Enrico Flacowski

<< Cantava De Andrè «Ma una notizia un po’ originale, non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca».

Molte fake news viaggiano su WhatsApp, senza bisogno di alcuna testata giornalistica o blogger: basta un messaggio inoltrato con il giusto contenuto, per esempio “ATTENZIONE puoi dimezzare la bolletta della luce. Verifica se nella tua bolletta appare questa voce…”.

In genere i contenuti che creano il cosiddetto hype sono quelli su cui c’è molto interesse, quindi soldi, politica, spettacolo, sport.

Il problema della fake news non è tanto l’involucro che la contiene e diffonde, quanto le motivazioni, e spesso sono motivazioni politiche. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Vanno a toccare la sfera emotiva e tutto quello che è a essa annessa: la paura, lo stupore, ma anche lo sdegno, la rabbia quindi lavorano a un livello che non è cosciente o almeno non del tutto e prendono quella parte di noi che a volte trascuriamo e la fanno balzare fuori.

Come dice Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano e che si è occupato spesso del tema, le fake news permettono una sorta di diffusione della disinformazione che fa sì che, come la goccia che trabocca il vaso, non solo le persone le prendono per autentiche, ma sono spinte a condividerle sui loro profili.

Ecco perché sono così popolari e ci credono in tanti. E a ogni modo il libro spiegando come si costruisce una notizia, fa anche capire cosa non è una notizia. >>

 

Riccardo Esposito

<< Semplice: rappresentano ciò che tutti amiamo, vale a dire l’esagerazione e il clamore. Fa sempre piacere poter vivere in un mondo fatto di scoop, rivelazioni, dietrologie che solo noi che leggiamo abbiamo il piacere e l’onore di conoscere. La nostra mente risponde agli stimoli di una notizia sconvolgente attivandosi, l’informazione fatta bene e senza clamori è noiosa. Ma purtroppo è quella che fa la differenza tra l’aria fritta e la consistenza. >>

 

7. Se diamo un’occhiata al passato, a scrivere la storia sono stati media come i giornali, la radio e la televisione. Facendo un salto nel futuro, tra 100 anni chi avrà scritto la storia che stiamo vivendo? I giornali online o i blog, oppure i social network e le fake news?

 

Enrico Flacowski

<< Non scinderei blog, social, testate online e app. La liquidità che stiamo vivendo ci è concessa da internet: Spotify, shopping online, TikTok, Facebook, blogging, cloud, LinkedIn, notizie online, li vedo come un tutt’uno. La rete. Mi piace sempre ricordare che l’era geologica in cui viviamo si chiama Antropocene, perché per la prima volta nella storia la maggior parte di evoluzioni ambientali sono causate dall’intervento umano. Ecco, internet sta all’uomo come la storia sta al pianeta, ha modificato tutti i nostri comportamenti, le nostre case, la nostra cultura. Le fake news, in questo contesto, sono più che altro l’inquinamento della storia. >>

 

Cristina Maccarrone

<< Tutti, secondo me, ognuno con il suo contributo. Forse anche le stesse fake news avranno contribuito a lasciare ai posteri le indicazioni su come si fa informazione corretta. Però davvero tutti: Twitter per esempio, “contrastando” Trump sta facendo la storia, ma anche Instagram con le stories di chi racconta semplicemente concetti complessi. Ecco, secondo me non si ricorderà la Imen Jane di turno, quanto quello che ha dato nella comunicazione. Secondo me, di tutti coloro che sono protagonisti adesso, pochi verranno davvero ricordati, ma resterà come ognuno a contribuito a creare la rete e come la lascerà ai posteri. E Internet, a mio avviso insegna questo: parafrasando il pensiero di Manzoni, “la storia non la fanno i grandi, ma possono farla tutti, ma senza passare davvero alla Storia”. >>

 

Riccardo Esposito

<< Tutti insieme. Ognuno fa la sua parte, anche Twitter che censura un presidente degli Stati Uniti d’America fa la storia della comunicazione. C’è grande influenza tra i vari settori e non vedo una scelta di fronte a questa domanda: la comunicazione cambia il mondo e lo fa con mezzi, tempi e dinamiche compatte. Unite. Non esistono confini ma frontiere porose, come direbbe il mio prof. di Antropologia Culturale (Massimo Canevacci). >>

 

Conclusioni

Nell’era digitale, l’informazione online è diventata molto importante perché riesce a soddisfare velocemente un nostro bisogno in pochi click. La stampa tradizionale invece rappresenta oggi una forma di approfondimento dell’informazione per cui è necessario tempo e concentrazione.

Per essere considerata valida dai lettori, un’informazione online non dipende solo dai click, like, ecc., ma anche dall’autorevolezza di chi la mette in rete e del sito che la ospita.

I social network hanno influito molto sul modo di fare informazione online.
Oltre ad attirare maggiormente l’attenzione dell’utente, e a permettere la discussione e il confronto riguardo l’informazione, i social network hanno spinto gli autori a imparare a creare contenuti multimediali che vanno al di là del semplice testo.

Le fake news rappresentano un’evoluzione distorta del fare informazione, che grazie ai social hanno oggi una velocità di diffusione mai vista prima.

Tuttavia anche le fake news, insieme a blog, giornali online e social network, contribuiranno a scrivere la storia che stiamo vivendo.
Come inquinamento storico serviranno ai posteri da monito per sviluppare un’informazione corretta e responsabile.